mercoledì 9 aprile 2014

FIDARSI E' BENE! Come la mancanza di fiducia minaccia le nostre relazioni.

La fiducia è il fondamento di tutte le relazioni umane, dagli incontri casuali alle amicizie, alle relazioni intime. Essa determina tutte le interazioni che abbiamo con gli altri. Nessuno riuscirebbe a guidare una macchina, a camminare lungo un marciapiede, a salire su di un treno o su un aereo, se non potesse, in qualche modo, fidarsi degli altri. Confidiamo nel fatto che gli altri guidatori rimarranno nelle loro corsie, che i conduttori ed i piloti saranno sobri e vigili. E confidiamo nella probabilità che chi ci circonda, faccia del proprio meglio per adempiere i propri obblighi verso il prossimo. In questa prospettiva si puó dire che l'intera nostra cultura, civiltà, e comunità dipendano dalla fiducia. Tante persone hanno difficoltà a fidarsi: si pensi anche solo alla gelosia, spesso immotivata o alla sospettosità eccessiva. Per certe persone, i vantaggi della vicinanza e dell'intimità sono offuscati dalla possibilità di essere traditi e provare sofferenza. La capacità di fidarsi, infatti, non è presente in eguale misura nelle persone: alcuni sono in grado di provare fiducia più facilmente di altri. Le valutazioni iniziali sulla possibilita di fidarci degli altri, avvengono automaticamente, al di fuori della nostra coscienza, e sulla base della nostra storia evolutiva. Anche nel contesto delle relazioni intime, le nostre risposte ed i nostri comportamenti sono il risultato di "modelli operativi interni" che non percepiamo consapevolmente, ma che ci guidano sulla base di tendenze comportamentali innate. La natura dell'attaccamento ai nostri "caregivers" nell'infanzia (di solito i genitori) determina quanto saremo "fiduciosi" da adulti, perché queste prime interazioni forniscono la traccia, lo schema, di come interpretiamo il mondo ed attraverso il quale determiniamo cosa aspettarci dalle persone. Un bambino che, nelle sue prime esperienze relazionali, abbia imparato che le persone che lo circondano sono affidabili e si prenderanno cura di lui in caso di necessità, si muoverà nel mondo con rappresentazioni mentali ed aspettative circa le relazioni molto diverse rispetto ad un bambino con un attaccamento cosiddetto "insicuro". Lo schema di attaccamento "sicuro", ha tre caratteristiche fondamentali: - Il presupposto che, se si ha bisogno di aiuto, sia possibile rivolgersi ad una persona di fiducia. - Il presupposto che, se si ha bisogno di supporto, gli altri saranno pronti e disponibili a fornircelo. - L'aspettativa che il supporto ricevuto ci darà aiuto, consolazione e sollievo. Queste assunzioni fanno si che si rinforzino la capacità di provare fiducia e l'attitudine a contare sugli altri. Al contrario, l'ansia presente nelle aspettative dei bambini esposti ad una madre o ad un caregiver che sia stato incoerente (certe volte fonte di conforto ma, altre volte, assente o esplicitamente respingente) è strettamente legata a preoccupazioni, in età adulta, relative all'incertezza che il loro partner sarà disponibile in un momento di bisogno. Non si fideranno del fatto che l'altro sarà presente, e saranno preoccupati dall'ipotesi di dovervi fare affidamento. Le persone con questo genere di aspettative, o che siano state trascurate, respinte o addirittura abusate, hanno la credenza di non potersi basare sull'aiuto di nessuno, e faranno ció che potranno per restare autonome. È importante avere chiaro che queste rappresentazioni mentali non sono funzioni coscienti. La presenza di fiducia o la sua assenza, non viene determinata attraverso processi di pensiero consci, ma viene elaborata secondo un copione mentale, che non sappiamo neanche di seguire, a meno che non abbiamo fatto una psicoterapia o siamo giunti ad una profonda comprensione di come le nostre esperienze infantili ci hanno segnati. Una serie di esperimenti (Harriet S. Waters e Everett Waters) sono stati sorprendentemente chiari nelle loro conclusioni su come questi "script" o rappresentazioni mentali lavorino. Ai partecipanti è stata data una lista di parole come traccia ed è stato chiesto loro di scrivere una storia usando tali parole. Un set di campioni di parole era relativo alla mattina tipo di un bambino: mamma, bambino, gioco, coperta, abbraccio, sorriso, storia, finta, orsacchiotto, ha perso, ha trovato, e schiacciare un pisolino. I soggetti con attaccamento "sicuro" raccontatavano storie, in genere, piene di interazioni madre-bambino, in cui il bambino era descritto come felice e soddisfatto. Erano presenti abbracci e sorrisi, l'orsacchiotto, momentaneamente perso, veniva poi ritrovato. Non è stata la stessa cosa per i soggetti con attaccamento "insicuro", che tendevano a descrivere una madre nervosa, che si distrae e perde l'orsacchiotto, o che guarda il bambino giocare con la sua coperta da solo nella culla e decide di raccontargli una storia, ma cambia idea ed il bambino si addormenta da solo. In questo ultimo racconto, le parole "abbraccio" e "sorriso" non sono state mai utilizzate dai partecipanti. Gli esperimenti utilizzavano anche domande relative ad adulti in situazioni critiche, come ad esempio, un incidente d'auto, ed anche in tal caso, è risultato che le narrazioni fossero coerenti, come nell'esperimento precedente, allo stile di attaccamento, sicuro o meno. In conclusione le persone con attaccamento sicuro sono più sensibili ed in grado di individuare comportamenti di cura e sono più precisi nelle percezioni dei loro partner; sono anche più veloci nel comprendere e perdonare quando qualcuno li delude in qualche modo. Poiché le nostre rappresentazioni mentali sono automatiche e non coscienti, possiamo combattere il loro effetto sul modo in cui interpretiamo gli eventi e le azioni altrui portandole ad uno stato di consapevolezza. Se si hanno difficoltà nel fidarsi delle persone, può essere utile mettere a fuoco ciò che si sta mettendo in gioco ed agendo nella relazione. Stiamo interpretando le parole ed i comportamenti del partner correttamente, o tendiamo a fraintendere i segnali ed i comportamenti che indicano la sua disponibilità? Stiamo rispondendo al copione del nostro modello di attaccamento interiorizzato, secondo le nostre aspettative, o a ciò che sta realmente succedendo nell'interazione attuale? È il nostro schema abituale a non permetterci di fidarci, o la persona che abbiamo scelto di frequentare? L'altro è prevedibile? Possiamo contare su di lui/lei? E, se non è possibile, perché? È comprensibile che le persone che hanno sperimentato in prima persona, la delusione ed il dolore di un tradimento, possano fare fatica a fidarsi. Ma essere ancora aperti alla possibilità di fidarsi, sarebbe più facile se i nostri schemi interattivi dell'infanzia fossero "smascherati", resi visibili e comprensibili, ed infine abbandonati.

giovedì 3 aprile 2014

PICCOLE CATASTROFI QUOTIDIANE. IL PESO DEI TRAUMI INFANTILI NELLO SVILUPPO DELLO STRESS PSICOLOGICO
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Nel senso comune, quando si parla di trauma, o di esperienza scioccante, si fa implicitamente riferimento a qualche evento la cui straordinarietà sia condivisibile per chiunque. Si pensa a grandi incidenti o catastrofi naturali, a condizioni estreme e fuori del comune: situazioni in cui la nostra sopravvivenza è minacciata. Questa accezione rischia però di togliere “dignità”, o a considerare trascurabile il potere traumatizzante di eventi relazionali apparentemente routinari, come esperienze di trascuratezza o mancanza di rispetto e accudimento, che influiscono sul senso di valore dell’individuo, sulla sua sicurezza, sull’autostima e sul suo senso di efficacia personale. Per alcuni può essere stato traumatico essere umiliati alle elementari da un maestro troppo duro, per altri essere mollati, improvvisamente, dal proprio partner, per molti può essere traumatica la perdita del lavoro, oppure un divorzio o la perdita di una persona cara, ma anche un giudizio ricevuto. Il fatto che l’impatto delle esperienze relazionali negative sia soggettivo, rende necessario definire trauma psicologico qualsiasi evento che una persona recepisca come estremamente stressante. Piccoli e grandi traumi psicologici, vissuti soprattutto in età infantile, hanno un impatto significativo sull’emergere dello stress psicologico e sullo sviluppo di vari disturbi mentali. Anche aspetti caratteriali, come la timidezza o la tendenza al senso di colpa, possono essere la conseguenza di episodi interpersonali, come rifiuti, umiliazioni, colpevolizzazioni, tanto più gravi quanto più ripetuti. Nei primissimi anni di vita, cominciamo ad organizzare ed ordinare le informazioni che provengono dal mondo esterno e dalle realazioni secondo schemi. Lo schema è una struttura cognitiva che svolge diverse funzioni: seleziona le informazioni da cercare, prevede ed interpreta le informazioni arrivate, le integra con le altre conoscenze già acquisite e ne estrae il significato astratto. Questo processo di apprendimento (raccolta, memorizzazione ed ordinamento delle informazioni), si struttura in reti neurali comunicanti tra loro. L'esempio del computer puó rendere metaforicamente l'idea: ogni nuovo dato inserito dall'esterno, o scaricato da internet, deve essere organizzato e salvato in una cartella contenente dati attinenti. Per esempio le foto delle vacanze saranno recuperabili da una stessa cartella, magari suddivisa a sua volta in altri file, ed allo stesso modo sará per i documenti word, le mail contenenti bollette e cosí via. Se non fosse possibile ordinare i nostri file, ed eliminare quelli superflui, ci troveremo di fronte ad un desktop caotico, dal quale sarebbe difficile e laborioso recuperare ció che cerchiamo. Quando ci arriva una "nuova informazione" da un'interazione ben riuscita (per esempio un colloquio di lavoro andato a buon fine), integriamo il nuovo dato "sono competente" nella rete neurale dell' "idea su di me", gia contenente dati precedentemente ricavati. Quando siamo esposti ad interazioni che suscitano emozioni negative, o disturbanti, il processo viene reso difficoltoso dalla reazione neuroendocrina. Pensiamo a quando stiamo dando un esame: la paura relativa alla prestazione, il pensiero di tutto ció che ne puó seguire, ci rendono "tesi", e tale tensione si puó tradurre in mani sudate, secchezza delle fauci, arrossamenti in viso, tachicardia ed altre reazioni fisiche. Gli eventi stressanti producono reazioni emotive e corporee importanti, che non sempre il cervello riesce ad elaborare. Quando l’elaborazione delle nuove informazioni non avviene spontaneamente, le emozioni e le sensazioni corporee si bloccano, e costruiscono reti neuronali disfunzionali che compromettono il normale funzionamento psichico ed il benessere della persona. Le conseguenze che si possono presentare in seguito ad un’esperienza traumatica variano a seconda della peso soggettivo che l’evento ha per chi lo ha subito. La risposta all’esperienza traumatica è, prima di tutto, emotivo-corporea. Nel caso di un trauma psicologico irrisolto si crea nel cervello una stasi neurobiologica, che impedisce l’elaborazione delle emozioni e delle sensazioni corporee le quali, permanendo nel cervello oltre la conclusione dell’esperienza, sono pronte a riattivarsi in situazioni simili a quella traumatica. Per tornare alla nostra metafora, é come se l'attivazione emotiva e corporea corrispondesse ad un virus che si inserisce nel nostro computer, danneggiandone il contenuto ed intaccando le normali attivitá. Anche se la persona si trova in condizioni di sicurezza può accadere, infatti, che essa sperimenti le stesse emozioni e sensazioni sgradevoli che aveva provato nel momento in cui è avvenuto il trauma. Per esempio, chi ha avuto un incidente d’auto può continuare a sentirsi a disagio e teso in macchina, anche se consapevole che, da anni, guida senza problemi. Un trauma psicologico irrisolto, infatti, costituisce un carico disfunzionale nel cervello di una persona, la rende più fragile rispetto all’impatto con altre possibili successive difficoltà della vita e ne diminuisce la resilienza. Per questo diciamo che un trauma irrisolto tende a “complessizzarsi”, dando vita a modalità di relazione disfunzionali con se stessi, con gli altri e con la realtà esterna, che possono diventare la base di sintomatologie diverse. Ripetute esperienze di rimprovero, di umiliazione, di rifiuto, possono a loro volta organizzarsi in strutture neurali che influenzano le esperienze future del soggetto, proprio come il nostro computer memorizza le ricerche su internet precedenti, e ci suggerisce le "navigazioni" future sulla base delle nostre abitudini! Allo stesso modo, se avremo collezionato un tot di esperienze "valgo poco", "non sono adeguato", "gli altri mi abbandoneranno", etc., che non siano state adeguatamente integrate, ci troveremo ad agire profondamente influenzati da aspettative disfunzionali ed andremo incontro a blocchi, difficolta, emozioni negative croniche, malessere psicologico, sintomi somatci. Nei casi piu gravi, questo puó portare a conseguenze che rendono estremamente vulnerabili, proprio come testimoniano, sempre piú, i tristi e preoccupanti dati di cronaca.